L'innovazione crea disoccupazione?

Le persone sono sempre più preoccupate per il proprio posto di lavoro, messo a rischio da sistemi sempre più evoluti, automatizzati e “intelligenti”. Ad esempio, quale lavoro saranno dirottati a svolgere milioni di conducenti e piloti di veicoli, con l’avvento della guida totalmente automatica, anche se serviranno ancora parecchi decenni per rendere effettive certe applicazioni. E gli altri mestieri in qualche modo collegati ai veicoli, l'autoriparatore, il gommista, il benzinaio o l’assicuratore, come potrebbero venire perturbati dall'avvento della guida automatica.

Una delle leggi di evoluzione dei sistemi tecnologici enuncia che i sistemi evolvono in modo da richiedere sempre meno contributo umano. Questo significa delegare ai sistemi tecnologici i compiti più gravosi, pericolosi, ripetitivi, riservando per l’uomo i compiti più rilevanti, gratificanti e piacevoli. Ciò è coerente con una legge più generale secondo la quale i sistemi nel tempo tendono ad incrementare i benefici e a ridurre costi e nocività. Si assume che, in un certo senso, l’innovazione sia “forzata” a seguire certe “leggi evolutive”.

L’automazione, la meccatronica, la robotica, sono i comparti dove è forse più facile rinvenire queste tendenze. In effetti risulta chiaro a chiunque come l’automazione, di fatto, riduca la necessità di impiegare mano d’opera. Pure è facile intuire come, parallelamente alla riduzione di mano d’opera sostituita dalle “macchine”, cresca anche la necessità di nuove professionalità utili allo sviluppo delle innovazioni, venendosi a generare quindi un nuovo tipo di occupazione.

Tuttavia, dopo qualche lustro trascorso a studiare la materia innovazione, e a realizzare invenzioni e innovazioni, non posso non tentare di leggere certi fenomeni da un punto di vista maggiormente sistemico, domandandomi se l’innovazione non crei effettivamente disoccupazione (o ben altri problemi). È facile percepire come positivo un “robot” che somministri cure o rilevi i parametri vitali di un malato, o che “accudisca” un anziano. Meno facile intuire come reimpiegare milioni di infermieri resi obsoleti dall'innovazione.

Se stiriamo ed accentuiamo i parametri dei sistemi e dei contesti che osserviamo, possiamo immaginare l’esito di possibili scenari. Tale esercizio, che a prima vista può sembrare solo un semplice compito di immaginazione, è utilissimo invece per far emergere e ragionare aspetti altrimenti poco osservabili. Estremizzando quindi le tendenze cui abbiamo accennato, possiamo sostenere che un giorno potrebbe avverarsi (non è escludibile) uno scenario in cui “tutto” sarà svolto da “macchine”. Attraverso l’intelligenza artificiale e algoritmi di autoapprendimento le macchine potranno progettarsi e realizzarsi “da sole”. Sarà possibile delegare ogni “mestiere”, perfino quello dell’imprenditore, alle macchine. Per allora avremo quindi un pianeta potenzialmente popolato esclusivamente da “non occupati”.

Assumendo dovrà esistere comunque un sistema “retributivo” di qualche genere (se non vorremo distruggere la società per come la immaginiamo) che ci consentirà di impegnarci in soli compiti desiderabili, viene da chiedersi se la società stia ragionando, e sia pronta ad accettare, un simile scenario. Personalmente temo di no. In tal caso la tendenza che stiamo percorrendo, verso un futuro delle macchine, se non supportata da una corrispondente evoluzione del sistema sociale e politico, potrà rivelarsi controproducente e ricca di insidie.

Da anni consiglio di studiare, progettare e realizzare innovazioni contemplando un punto di vista multidisciplinare e sistemico. In troppi sono concentrati nell’innovare all’interno del proprio micro cosmo, senza uno sguardo rivolto da una posizione più elevata. Le scuse non mancano, ad esempio si può sostenere che certe scelte siano fuori dalla nostra portata, oppure che certi aspetti elevati siano a carico di chi è delegato a trattarli legiferando di conseguenza.

Il mio timore è quindi che l’innovazione possa correre più velocemente di quanto la società sia preparata a ragionare e disposta a cambiare. Le paure di rimanere disoccupati, e senza un sostentamento, potrebbero conseguentemente rivelarsi assai fondate.

Intendiamoci, ci sono ovviamente dei meccanismi di autoregolazione dei sistemi, come il decretare l’insuccesso di innovazioni che riteniamo indesiderate. Tuttavia l’uomo ha già dimostrato in passato quanto sia limitato dai propri pregiudizi e paradigmi mentali quando deve operare scelte su temi complessi. Basti pensare per esempio, nel dominio economico, all’invenzione della “mano invisibile” (la presunta autoregolamentazione del mercato liberista, perpetrata da un biografo di Adam Smith) o al ben più recente inserimento di alcune attività illegali nel calcolo del PIL.

Strumenti e tecniche per ragionare ed elaborare i cambiamenti esistono, sotto forma di discipline sistemiche. L’innovazione può quindi realizzarsi creando sistemi davvero migliori, più ideali, che si concretizzano attraverso nuovi tipi di occupazione e modi di lavorare. Tuttavia l’uomo è un semplificatore e se può tende a risparmiare energie, inclusa la fatica necessaria a ragionamenti complessi. Ecco perché sarete giunti a leggere queste ultime righe in molti meno di quanti avevate iniziato a leggere questo post.

Se però tenete al vostro mestiere, alla vostra azienda, al vostro futuro, sarebbe bene imparaste a ragionare aiutandovi attraverso specifiche “chiavi di lettura”, che sono istruibili ed esercitabili, per inventare e innovare in maniera sistemica.

A Voi, nel micro, converrebbe, e pure nel macro.

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